«Pasticcio» massimo ribasso sotto al milione, in arrivo un chiarimento delle Infrastrutture
Una nota di chiarimento per fornire l’interpretazione autentica della norma del correttivo appalti che raddoppia da uno a due milioni la soglia per l’applicazione del massimo ribasso. È la mossa cui sta pensando il ministero delle Infrastrutture di fronte al rischio che l’interpretazione letterale della misura prevista dall’articolo 95 (comma 4, lettera a), possa bloccare il mercato dei piccoli lavori. La novità del decreto correttivo rischia infatti di impedire alle stazioni appaltanti l’ utilizzo del massimo ribasso per aggiudicare le procedure negoziate di importo fino a un milione di euro, eliminando così la corsia più rapida per portare al cantiere questo tipo di interventi, come abbiamo evidenziato per primi su questo giornale.
Riepiloghiamo la vicenda. La norma che autorizza l’aggiudicazione degli appalti al massimo ribasso fino a due milioni, pone due condizioni. Una è che l’appalto venga aggiudicato sulla base di un progetto esecutivo. Questo paletto taglia evidentemente fuori gli appalti integrati. La condizione più impattante è però quella che limita la possibilità di ricorrere al criterio del prezzo più basso ai casi in cui «l’affidamento dei lavori avviene con procedure ordinarie».
L’interpretazione letterale della norma porterebbe a concludere che l’ok all’ampliamento dei confini di utilizzo del massimo ribasso (che evita anche l’obbligo di nominare una commissione giudicatrice ad hoc) vale solo per le stazioni appaltanti che scelgono di assegnare gli appalti con gare formali: le « procedure ordinarie» appunto, termine con il quale si indicano generalmente le procedure aperte e ristrette, sempre precedute da un bando.
In base a questa interpretazione verrebbero così tagliate fuori tutte le procedure negoziate a inviti ammesse, solo in via eccezionale, per assegnare le opere di importo inferiore al milione. Con la conseguenza che, proprio per le gare più piccole, cioè quelle che si intendeva accelerare, le stazioni appaltanti si troverebbero di fronte all’impossibilità di accoppiare procedura negoziata e massimo ribasso. Le uniche due scelte ammesse sarebbero infatti gara formale e massimo ribasso (o offerta più vantaggiosa) oppure procedura negoziata e offerta più vantaggiosa (senza alternative) . Uno scenario che avrebbe un impatto molto negativo sui tempi di assegnazione di questi appalti, con un evidente effetto-boomerang.
Di qui l’idea di disinnescare la mina attraverso un documento di interpretazione. Secondo quanto trapela dai corridoi delle Infrastrutture l’intenzione è quella di chiarire che la ratio del governo era ovviamente quella di offrire una semplificazione in più ampliando fino a due milioni l’utlizzo del massimo ribasso, secondo le procedure già ammesse dal codice. In questo senso, la formula «procedure ordinarie» utilizzata all’articolo 95 dovrebbe essere intesa come «procedure ordinariamente seguite» dalle stazioni appaltanti per aggiudicare gli appalti, ciascuna nella sua fascia di importo. Conclusione: visto che all’articolo 36 la procedura negoziata viene ammessa per gli appalti sotto al milione e che sotto questa fascia viene pure ammesso l’utilizzo del massimo ribasso, allora anche la procedura negoziata va considerata come una «procedura ordinaria».
L’interpretazione chiarisce le intenzioni del governo. Ma rischia di non fugare tutti i dubbi. All’articolo 36 del codice, che disciplina gli appalti sottosoglia , si precisa più volte che il termine «procedura ordinaria» non riguarda le procedure negoziate. Insomma, a ben guardare, ci sarebbe il rischio che in un articolo del codice il temine «procedura ordinaria» venga interpretato in un senso e in un altro articolo abbia invece un altro significato.
Non è ancora del tutto certa neppure la strada che verrà seguita per fornire l’interpretazione del ministero. Una delle ipotesi è quella di un atto di interpretazione concordato con l’Autorità Anticorruzione. Un’altra strada potrebbe essere quella di una nota di chiarimento in risposta a un quesito posto dalle stazioni appaltanti, anche attraverso il coinvolgimento di Itaca, l’istituto delle Regioni che si occupa di contratti pubblici.